Dalla Prefazione di Romano
Luperini (si veda il post del 23/ 2/ 2020)
“...L’autrice di questi versi è come attratta da un punto di
fuga vertiginoso – una sorta di punto zero – da un’“intersezione di sogno/ e di
tempo”, in cui i suoi sensi possano rinascere in un’immedesimazione di paniche correspondances
e di cui la stessa scrittura dovrebbe essere immediata manifestazione: “Così io
mi sento/ nel cangiare dei formicolii e dei blocchi del corpo/ tra cielo e
oceano/ in un’increspatura leggera del foglio…”.
Ma “tornare/ nuova / al mondo” è programma utopico:
l’ardore quasi mistico con cui viene perseguito si scontra con un limite,
ritornante anche stilisticamente, nell’uso dei puntolini di sospensione, la cui
frequenza è proporzionale allo scacco dell’impresa…
Dietro ci si sente forse, l’eco della poesia americana
(Ginsberg), certamente l’impeto “orfico” di Campana (d’altronde indirettamente
citato più volte; si veda, per esempio, la poesia Canone enigmatico che
rinvia implicitamente a La Chimera).
Il limite viene varcato in due momenti topici: quando
quell’attrazione di cui dicevo diventa la stessa che i significanti esercitano
nei propri stessi confronti calamitandosi a vicenda, rimandandosi i medesimi suoni e così
scorrendo lungo l’asse metonimico delle assonanze e delle allitterazioni verso
quel “buco vuoto/ senza sfondo” di cui si parla nella poesia Essere e Tempo (che sopra ho chiamato ‘punto zero’), e quando si bloccano di
colpo privilegiando l’interruzione fornita dal senso, la chiusura semantica.
Nel primo caso i sensi imprevisti producono esiti
surreali (talora originalmente accoppiati a un’istanza di verginità primitiva);
nel secondo un’improvvisa e trepida chiarezza lirica, più tradizionale, ma in
sé perfettamente compiuta.
Come accade nella poesia “Riarsa di vita…” che è un bell’esempio di
fusione dei vari aspetti della ricerca di Daniela: lo slittamento dei
significati (“norma… forma… foglia… adombra”)
non tende qui all’infinito, ma si condensa alla fine, in una clausola ferma e perfetta...” .
Il Meeting Internazionale di Poesia in cui furono 'dette' alcune poesie di Apache Tear |
ESSERE E
TEMPO
Vorrei
se potesse inoltrarsi
ancora un po’ il tempo
nel tempo, contare quel
tanto che basta quel
non vero che non cede
e non vede quel non credo
che nel tempo brucia il tempo
come un momento forse
più lungo e più lento
del dove fu consumato
o forse più lesto, ma comunque
destinato alle oscure agonie
che ogni uno ad ogni altro
regala come pegno...
Se non fosse per questo
a che senso servirebbe
contare il tempo?
Come se non fosse vero che
il non vero che non cede
e non vede non è che l’astuzia
del guerriero per dare senso
al tempo...
Così il senso è nel tempo
e neppure lo spazio
abita i suoi luoghi
senza contarsi e saperlo...
E poi... quasi alimentando
nelle astuzie un avvenire
lo spazio esplode in complesse
perizie e incompiute geometrie
come fuga costante e perdita
delle molteplici ragioni vere del senso
il centro si fuga e s’allontana
dal centro, s’allontana
verso un semplice buco vuoto
puntiforme e nero
la cui densità è difficile
avvertire nelle inflessibili
coscienze del guerriero.
Buco vuoto
senza sfondo, per gli ingenui
d’oscuro, tutto tondo
quasi noto: un’arena
non un deserto...
Finché la cecità del tempo
non rinnovi la scomparsa
di ogni visione completa
e finché l’arena
non sia tornata al deserto
e il deserto all’arena...
in un costante ritorno
del TEMPO...
Così ora,
in un lento respiro interno
risvegliando la coscienza
all’oscuro
verso l’esterno...
tutto riprende
il tempo necessario
al risveglio
senza troppo fidarsi
che il risveglio sia
risveglio... mentre qualcosa
di vero accade
all’intersezione di sogno
e di tempo...
THE TURNING POINT (FU/ RETURN)
(I Ching: Esagramma 24)
To and fro goes
the way
the past returns
without blame
on the seventh day
comes
return…
он
видит ум неба и земли
(one sees the mind of heaven and earth)
Il punto è il centro
tornante
del cerchio
in fondo agli anni-spirali
del tempo… in fondo in fondo
lo stesso sguardo eliocentrico
nel ritrovare il commiato
il confondente
gesto…
San Gemignano
Torri
Bianche
belle
torri
dalle
teste esaltate
dal
calore che pare
render
vive le forme…
in un
din-den-don-ondeggiare
forse
ondeggia lo sguardo
che ti
segue e poi…
piano, si
rispondono i flauti
da un
verone ad
un altro…
e poi
piano, io
ti lascio
alle
torri là in alto
sguainando
le spade
dei tre
arcani tarocchi…
DOUBLE TRANCE (1983)
Si fa chiaro
e lentamente
quando i miei cinque sensi sentiranno
il corpo avrà perso i suoi contatti,
i suoi pesi…
sentir te come aria lucente
pulsante materia degli orti e dei deserti
pietra lunare mormorante agli orecchi intorpiditi
i misteri… verranno da tutte le terre
per una terra scomparsa nei piedi…
Sapranno toccarti con tocco infinito
sui pollici addormentati
per mostrarti al di là delle terre
i miei sensi rinati.
*
Generare…
il lungo sapore…
infilarsi
alla fine dell’oscurato estinguersi della sensazione…
generare
il suono delle primavere
spese
a consumare le invernali promesse di forme…
e poi,
nel ricomporre gli anni del TEMPO
baciare
quei luoghi segnati dalle tracce dei vuoti
la carne
e le grinze come ferite sospese tra orazioni e
suppurazioni…
generare…
il tocco del pallido flusso di sole
alla fine dell’oscurato
estinguersi della luce…
… Ora che tutto tace e
prolifici i sogni
su vie intercontinentali…
dormono
in-sonni…
CONTINUA NEL PROSSIMO POST.
CONTINUA NEL PROSSIMO POST.
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